mercoledì 7 febbraio 2024

True Detective: Night Country - Episodio 1

Torna un gigante dormiente, che si porta appresso un altrettanto gigante bagaglio di aspettative non corrisposte e standard elevatissimi a cui dover far fronte. E già questa premessa rende l’obiettivo che si pone True Detective: Night Country un tantino titanico.

Ma… Suvvia, è una serie antologica… Sarebbe anche corretto avvicinarci a questo nuovo capitolo della serie cult poliziesca più amata (e memata) degli ultimi anni con un po’ meno aspettative e un po’ più di clemenza. Anche se, a giudicare dal cambio netto di produzione e publishing sembra quasi un tentativo di semplice rimonetizzazione di un fu brand di grande successo.

Ma basta chiacchiere e distintivo, basta. Un lungo respiro, allontaniamo i pregiudizi e i pensieri cattivi e tuffiamoci in questo primo episodio.

Come al solito HBO conferma di avere un portafogli capiente, a giudicare da una fotografia ineccepibile fin dalle prime inquadrature e da scenografie, CGI e colonna sonora che ad occhio e croce non sono state prese al discount.

Purtroppo, però, dove finisce il potere della moneta sonante ed entra in campo il bisogno del talento, fin dai primi attimi si vede come l’obiettivo non sia chiaro a Jodie Foster (Sceriffo Danvers) e alla nuova stella Kali Reis (Detective Liz), estratta dal mondo della boxe per essere scaraventata sulle luci della ribalta grazie ad un corredo genetico (ed un gusto estetico) leggermente diversi dallo standard hollywoodiano. Anzi, forse l'obiettivo è per loro fin troppo chiaro, seppur infattibile: ed infatti chi alle prime armi, chi invece tutt’altro (ricordo che la Foster ha una lunga lista di premi alle spalle), queste protagoniste cercano fin dai primi attimi di scimmiottare il carattere duro ed iconico del Cohle di McConaughey e dell’Hart di Harrelson, con un risultato che definirei tra il cringe ed il tenero, forse proprio per l’assenza di una parte vitale nel topos del macho texano: il gene XY.

“Sono una tipa tosta e tiro i pugni agli armadi, capito?! Stupido Kallax, siamo in Alaska, non in Svezia.”

I dialoghi cercano altrettanto (rovinosamente) di andare a preparare il terreno per presentarci un altro capitolo mozzafiato della serie atteso quanto la venuta del messìa, ma sembrano uscire fuori da un lavoro dilettantistico e arraffazzonato, tanto per il poco impegno recitativo, quanto per la scrittura (passatemi i termini) cliffhangerona e un po' paratattica. Per non parlare di certi dialoghi che, oltre a riempire un minutaggio ormai difficile da sostenere per degli spettatori e degli addetti ai lavori (assue)fatti di reel e tiktok, non hanno alcuna utilità narrativa o utilità in genere, se non offendere profondamento l'intelletto di chi ha deciso di dedicare un'ora del proprio tempo alla visione dell'episodio. 

Tanto per capirci, l'esempio lampante è il tipico interrogatorio dell’amichevole Navarro di quartiere che viene bruscamente inframmezzato dalle domande esistenziali del fratello della Annie K, il quale decide di rivolgere a lei i suoi quesiti alla Gauguin piuttosto che al suo psicanalista (giustamente, c’è crisi).


“Posso chiederle una cosa detective?” - “Certo.” - “Lei crede in Dio?” – “Ehrm… T’appost?”

Non dico che tutti i detective debbano avere la profondità psicologica del commissario Winchester di Springfield ma, santa pazienza, a una domanda del genere, posta completamente fuori contesto e senza motivo, un normalissimo povero cristo che fa lo sbirro di provincia avrebbe avuto quantomeno un attimo di tentennamento. Quanti di voi che stanno leggendo avrebbero una risposta pronta come la Navarro di fronte a un quesito del genere posto di punto in bianco da uno sconosciuto? 

Va bene la sospensione dell'incredulità, ma essere trattati come fessi? No, grazie.

Nel mentre una bambina lobotomizzata di fronte allo schermo nell’angolo dell’inquadratura sembra abbastanza in campo ma abbastanza fuori fuoco da ispirarmi un surrealismo da cinema francese. Mah.

Off-topic sofistici da Dom Toretto a parte, vorrei anche addentrarmi nella solita scelta di dubbio gusto dell'appioppare ai personaggi minoranze etniche, preferenze sessuali, politiche, religiose e chi più ne ha più ne metta in modo capillare e quasi petulante. Per dimostrare alla fin fine poi... Cosa? Che gli omosessuali hanno diritto di esistere? Che le persone nere (di colore o come diavolo si ritiene accettabile chiamarli ad oggi) hanno la stessa dignità dei bianchi? 

Ok boomer.

Cioé ottime intenzioni, eh, meravigliose. Ma in che modo questo aiuta chi stai cercando di rappresentare? O meglio, rappresenti veramente queste persone?

OMG un’adolescente lesbica. Che scandolo! Quelli di HBO devono sicuramente essere dei progressisti!

Perché io mi chiedo chi si sente realmente rappresentato da questo tipo di salamelecchi di servizio. Solita adolescente stereoptipata, solita madre boomer che "Oh mammina santa, adesso come lo dico a zia Concetta che ti piace la faciola?", soliti fraintendimenti e finti dissapori che si risolveranno in nome di un amore familiare che non viene né descritto con cura né sviluppato con una certa coerenza. 

Della serie tié, beccati sto personaggio omosessuale, sentiti rappresentato, e mo però stai zitto, o zitta, o zittu, o qualunque vocale ti rappresenti... Tanto anche lì, basta la vocalina giusta, poi di fatti ne parliamo un'altra volta, eh?

Mah. Messaggi di indubbia validità comunicati con mezzucci di terza categoria e non senza un costo: perché ricordiamoci che tutto ha un prezzo, e il prezzo che deve pagare l’opera è che nel momento in cui ci si trova a dover fare i casting ormai si dà più peso a cose come la quantità di melanina nella pelle di un attore piuttosto che al suo talento. 

A rigor di logica mi sembra l’esatta definizione di discriminazione. 

Ma meglio non aprire nessun dibattito, al diavolo il dialogo. Solo una scelta imposta dall’alto (produttori, case produttrici e multi-corporation varie) che poi si nascondono dietro a un dito. Questo casting non ti piace? Oh poverino, sei intollerante anche tu? Ok gigante multimiliardario governato da uomini bianchi e vecchi che certamente trattano gli altri essere umani come pezze da piedi, che siano bianchi, neri, gialli o verdi. 

Che poi… Forse… Basterebbe che HBO, Netflix e i loro compagni di merende tagliassero di netto le loro radici che traggono la loro linfa vitale da una società che su discriminazioni e schiavismo ha fondato la sua spina dorsale economica (e non solo). 

Ma forse adesso quello off-topic sono io. Torniamo a True Detective.

Dove eravamo rimasti? Ah sì, una meravigliosa imposizione forzata favola sul rispetto e la tolleranza. Un po’ come una donna che, da sopra, ha un rapporto con un uomo che sta quasi chiedendo pietà. Mi vengono diversi brividi lungo la colonna vertebrale ad immaginare la stessa scena con i due personaggi invertiti e i conseguenti strilli nazguliani dei neo-nazi-SJW-PC e chi più ne ha più ne metta.


Qavvik, amore mio, ma perché ogni volta che siamo a letto gridi “No basta, ti prego Mike Tyson, basta!”?

Non so, più lo guardo e più mi innervosisco al pensare come tante di queste inutili sottotrame dal dubbio gusto socio-istituzionale (in stile pubblicità progresso Meloniana sugli spinelli) vadano a rovinare la cornice di un racconto che, tutto sommato… Cazzo... È anche promettente!

Insomma, True Detective: Night Country parte con un’ottimo intreccio di thriller e soprannaturale, che ammetto essere una premessa pregna di tensione narrativa (che ha il retrogusto del buon vecchio The Terror), ma scivola sulle bucce di banane come i suoi predecessori perché non smette di voler replicare il successo che creò, forse per fortuna, forse per merito, solo in una prima stagione d’eccezione. E perché ovviamente lo zampino politico continua a voler calpestare la dignità artistica di tutta la produzione inglese su grande e piccolo schermo.

Ultima nota, mi stavo dimenticando in preda al delirio invettivo: posso dire che, anche se estremamente mainstream (sti cazzi) sta intro con Bury a Friend è vergognosamente bella? Daje, grandi HBO, almeno una l'avete imbroccata. 

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